Uzbekistan

Salve amici! Questa volta vi racconto dell’Uzbekistan, ovvero il Paese in Asia centrale dove si trovano alcune delle più belle città della Via della Seta: Samarcanda, Bukhara e Khiva.

Vi racconto con le foto.

Dal Tajikistan sono giunto in Uzbekistan nella mitica Samarcanda, un nome avvolto di magia e che forse più di tutti richiama alla mente la Via della Seta. Morta e risorta innumerevoli volte, già nel 329 a.C incantò Alessandro Magno che ne lodò l’incredibile bellezza. Distrutta quasi completamente da Gengis Khan nel 1120, risorge nuovamente in pieno splendore un secolo e mezzo dopo sotto Tamerlano come capitale del suo impero. L’ultima “resurrezione” avviene sotto l’Unione Sovietica con la restaurazione in grande stile (e forse anche un po’ troppo “allegra”) di moschee e madrase.
Questo è il centro di Samarcanda, chiamato Registan. Ai lati ci sono tre madrase, ovvero scuole islamiche. Quella a sinistra è del XV secolo, le altre due del XVII secolo.

 

Le splendide decorazioni delle piastrelle della madrasa centrale, Tilla Kari.

 

Interno della madrasa Sher-Dor. Le stanze degli studenti, qui come nelle altre madrase, sono diventate in gran parte negozietti di souvenir.

 

Una delle nuove strade turistiche con sullo sfondo la moschea Bibi-Khanym.
Una leggenda racconta che fu fatta costruire da una moglie di Tamerlano come sorpresa per il marito durante una campagna militare. L’architetto però se ne innamorò e chiese in cambio un bacio. Al ritorno Tamerlano fu felicissimo del regalo ma notò il segno del bacio sulla guancia dell’architetto e capì. Dopo averlo fatto giustiziare impose alle donne del suo impero il velo per non indurre più in tentazione gli uomini.

Moltissime sono le storielle antiche, soprattutto persiane, che richiamano Samarcanda. Anche io alla fine del post precedente ne avevo citata una, ovvero quella del primo consigliere del califfo (ci sono varie versioni, in alcune è un soldato col proprio generale, in altre un servitore col proprio commerciante e anche Vecchioni ci si è ispirato per la canzone omonima. In altre la città non è Samarcanda ma Samarra, in Iraq), che torna terrorizzato dal mercato dicendo di aver incontrato la Signora Morte, vestita con un mantello nero, venuta per lui. Chiede quindi al califfo il cavallo più veloce che c’è per sfuggire da lei con l’intenzione di giungere in serata fino a Samarcanda. Dopo che il consigliere è scappato via in gran fretta il califfo va personalmente al mercato e in effetti vi ci trova la signora col mantello nero. L’affronta dicendo come si è permessa di spaventare il suo primo consigliere. E la Signora Morte risponde “Non volevo spaventarlo. Lo guardavo con curiosità perché non capivo come potesse trovarsi qui visto che abbiamo un appuntamento stasera a Samarcanda”.
Nel mio caso, invece, avete visto che almeno per ora sono riuscito a sfuggirle per davvero, e anche in questo Dekaro si è rivelato un po’ speciale.

 

Signore al mercato.

 

Da Samarcanda sono giunto in un’altra splendida e antica città: Bukhara (o Buxoro). Nei secoli IX e X divenne uno dei più grandi centri culturali del mondo conosciuto, un “pilastro dell’Islam” che rivaleggiava con Baghdad, Il Cairo e Cordova. Al massimo del suo splendore contava ben 113 madrase, in cui si formarono alcuni fra i più grandi filosofi, poeti, intellettuali e medici del mondo islamico.

 

Giocatori di scacchi.

 

L’Arca, ovvero la cittadina fortificata all’interno della città. Costruita nel V secolo, divenne la residenza degli emiri fino al 1920 quando venne bombardata e conquistata dall’Armata Rossa.

 

All’interno dell’arca le stanze sono state convertite in musei. Questo è un manoscritto del Corano del XIX secolo.

 

Il minareto Kalon di notte. Fu costruito nel 1127 e probabilmente era in quel tempo il più alto edificio dell’Asia centrale. Persino Gengis Khan che abbiamo visto non è stato certo un gran cultore del patrimonio artistico (almeno fino alla prossima solita revisione storica che magari capovolgerà tutto e ci mostrerà un Gengis Khan raffinato e amante delle arti) ne rimase così colpito da ordinare di risparmiarlo mentre le sue truppe distruggevano il resto della città.

 

La terza delle antiche e straordinarie città sulla Via della Seta è Khiva (o Xiva). La cittadina fortificata all’interno delle mure, chiamata Ichon-Qala, si è conservata perfettamente.
Khiva era anche famosa per ospitare fino a tutto il XIX secolo un infame grande mercato di schiavi, catturati soprattutto fra le tribù nomadi delle steppe intorno e fra i soldati russi.

 

Il minareto Kalta Minor, uno dei simboli della città. Il motivo per cui appare un po’ cicciottello è dovuto al fatto che era stato progettato per essere molto più alto, forse il più alto del mondo. Iniziato nel 1852, i lavori furono interrotti alcuni anni dopo in seguito alla morte del khan.

 

Persone.

 

Lo straordinario soffitto del mausoleo di Pahlavon Mahmud, un imbattibile lottatore del XIV secolo che fu anche poeta e filosofo ed è considerato il patrono della città. Riporto una sua poesia:
E’ facile per me distruggere 300 montagne “Kuhi Kof”
E’ facile per me dipingere il cielo col sangue del mio cuore
E’ facile per me restare in prigione per 100 anni
Ma è difficile per me spendere un momento con un uomo stupido!

Nel mio caso invece sono difficili tutte e quattro.

 

Il minareto della moschea Juma.

 

La zona nord della città. A sinistra si vede la madrasa Islom Hoja e il suo minareto. Costruiti nel 1910, sono fra i monumenti più recenti. La cupola che si intravede a destra è quella del mausoleo di Pahlavon Mahmud, a cui attorno si sono aggiunte varie tombe di khan a forma di piccola cupola.
La foto è stata scattata da sopra il minareto della foto precedente.

 

La madrasa Mohammed Rakhim Khan del XIX secolo.

 

Una delle fortezze di Elliq-Qala, ovvero una catena di città fortificate nel deserto, alcune vecchie oltre 2000 anni. In questo caso come vedete è stata ricostruita la base.
Elliq-Qala vuol dire “cinquanta fortezze”. Al momento ne sono state trovate una ventina, non è escluso che ce ne siano altre ancora nascoste nella sabbia del deserto.
Queste rovine si trovano nel Karakalpakstan che è una repubblica autonoma all’interno dell’Uzbekistan.

 

Lucertola nella fortezza.

 

Un’altra fortezza, in questo caso sono le rovine di Toprak Qala, il principale complesso dell’antica Khorezm durante il III e IV secolo. Fu poi abbandonato nel VI secolo.
Il bianco che si vede sul deserto dietro le rovine è sale. Lo porta il vento dal letto del mare d’Aral, ovvero un lago salato che si trova(va) qualche centinaio di chilometri a nord ed era il quarto lago più grande del mondo. Una decisione assurda dell’Unione Sovietica di deviare i fiumi che confluivano nelle sue acque per irrigare il deserto ha portato in pochi decenni al quasi totale prosciugamento, provocando una catastrofe ambientale ed anche economica. Città che si affacciavano sul mare e vivevano di pesca si sono ritrovate in mezzo al deserto e sono state quasi tutte abbandonate.

 

E infine Tashkent, la capitale. In realtà anche Tashkent è una antica e importante città sulla Via della Seta, però quel poco che era sopravvissuto a distruzioni precedenti è stato definitivamente distrutto da un terremoto nel 1966.
E’ comunque una città molto piacevole. Ci sono molti parchi, strade larghe e pulite con bei edifici moderni e quelle che un tempo erano futuristiche costruzioni sovietiche come questo, il famoso Hotel Uzbekistan.

 

Alcuni dei vecchi palazzi sono decorati.

 

Una bancarella di libri in un parco.

 

Uno dei tanti esempi di un povero palazzo sovietico assaltato dal capitalismo.

 

Molte fermate della metro sono riccamente decorate con motivi tematici. Questa è la fermata Kosmonavtlar, dedicata a cosmonauti e astronomi.

 

E col cosmonauta vi saluto anch’io. Ci rivediamo fra due o tre settimane per l’ultima parte del viaggio.

Almaty (Kazakistan), Kyrgyzstan e Tajikistan

Salve cari lettori! Dopo il subcontinente indiano il viaggio continua nell’Asia centrale, ovvero quella regione che comprende cinque Stati dell’ex Unione Sovietica: Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan (dove però non andrò perché è troppo complicato avere il visto).

Questi Stati, i cui nomi non ci risultano familiari perché sono stati creati dall’Unione Sovietica quando erano già inglobati in essa, erano abitati in precedenza in gran parte da popolazioni nomadi o seminomadi che non avevano veri e propri confini.
Al crollo dell’Unione Sovietica sono diventati indipendenti e da allora la loro storia è abbastanza simile. Escluso il Kyrgyzstan sono stati tutti guidati per decenni da un qualche già noto dirigente del partito comunista locale, il quale ha cambiato nome al partito ed ha promosso un culto della personalità che nel caso del Turkmenistan ha raggiunto il ridicolo, con statue dorate della mamma del dittatore Niyazov sparse un po’ ovunque, tipo quella della mamma del megapresidente di Fantozzi Catellani.
Quasi ovunque qualsiasi opposizione politica è stata messa a tacere con feroce repressione, torture e omicidi, e quasi ovunque sono esplosi conflitti etnici e religiosi che erano rimasti sopiti (in Tajikistan poco dopo l’indipendenza si è arrivati persino ad una guerra civile che ha provocato oltre 60.000 morti, in Kyrgyzstan nel 1990, già prima del crollo dell’Unione Sovietica, e poi nel 2010 ci sono stati scontri etnici fra kirghisi e uzbeki che hanno provocato almeno un migliaio di morti, soprattutto fra gli uzbeki).
A volte le repressioni e le violazioni dei diritti umani hanno raggiunto livelli agghiaccianti, come ad esempio nel massacro di Andijon in Uzbekistan del 13 maggio 2005, quando una manifestazione in gran parte pacifica è stata soffocata nel sangue, lasciando quasi 1000 morti fra i civili.
Queste notizie di solito non hanno molto riscontro sui media occidentali sia perché non combaciano con la storiella che vuole gli Stati dell’ex Unione Sovietica finalmente liberi, felici, prosperi e democratici, sia perché gli Stati Uniti hanno sempre preferito chiudere un occhio di fronte a queste continue violazioni dei diritti umani in cambio soprattutto di un appoggio logistico e strategico per la guerra in Afghanistan, oltre ai soliti interessi economici.

In contrasto però si respira un’aria molto tranquilla e la gente è molto ospitale. L’unico vero problema per chi viaggia è che pochi parlano inglese e di conseguenza gli spostamenti sono un po’ difficoltosi. Per i vegetariani (come me) a volte è un po’ complicato ordinare qualcosa da mangiare nei menù cirillici, tantopiù che la cucina locale fa grandissimo uso di carne.

Metto le foto e vi racconto via via.

Da Delhi sono volato ad Almaty in Kazakistan. Il volo doveva durare solo 3 ore, ma è durato oltre 7 ore per via del blocco dello spazio aereo col Pakistan dovuto alle solite scaramucce riguardanti quel cacchio di Kashmir. L’aereo ha dovuto fare quindi un giro larghissimo tutt’intorno.
Il Kazakistan è una nazione molto vasta, nota soprattutto per essere la pseudo-patria di Borat. In realtà almeno Almaty risulta molto diversa dalle descrizioni da Borat. E’ una città moderna e vivace. Nuovi edifici stanno rimpiazzando quelli sovietici e le strade principali sono piene di locali. Anche se non è più la capitale dal 1997 resta la città principale dal punto di vista dell’economia e della cultura. E’ l’unica città che ho visitato del Kazakistan.

 

All’interno di una chiesetta ortodossa, affianco alla Cattedrale dell’Ascensione. La maggioranza della popolazione in Kazakistan è musulmana mentre circa un quarto è cristiano-ortodossa per via della comunità russa.

 

Un monumento di guerra con sullo sfondo la cattedrale ortodossa dell’Ascensione. Durante la seconda guerra mondiale gran parte della produzione bellica venne spostata in queste regioni, lontano dal fronte. Qui vennero velocemente e in gran segreto costruiti molti dei carri armati che poi effettueranno la controffensiva che libererà l’Europa dal giogo del nazismo.

 

Da Almaty sono giunto via terra in Kyrgyzstan, che si trova poco a sud. Il Kyrgyzstan è un Paese in gran parte montuoso e viaggiando per le strade si incontrano spesso scenari spettacolari, catene montuose innevate, fiumi e laghi.

 

Un cimitero.

 

Dopo aver visitato la capitale, Bishkek, dove però non c’è molto da vedere, ho effettuato un tour a cavallo di tre giorni per raggiungere il lago Song Kul. Oltre a me c’era un signore americano, la ragazza che ha organizzato il tour e la guida. La prima sera abbiamo fatto sosta in una casa di contadini.

 

All’interno della casa. La loro economia è molto essenziale. Il fornello per cucinare funge anche da stufa che riscalda la casa. Quasi tutto ciò che si mangia viene prodotto direttamente da loro.

 


(Video)
Il secondo giorno del tour è stato molto impegnativo soprattutto per via del freddo. In effetti avevo letto che in aprile fa ancora troppo freddo per quel tour ma la a ragazza che l’ha organizzato mi aveva assicurato di no. Se almeno mi diceva la verità mi preparavo meglio, invece mi sono trovato a 3400 metri senza nemmeno guanti e sciarpa. Il momento più drammatico è stato quando mentre passavamo su una dorsale il cavallo dell’organizzatrice si è accasciato e la guida ha deciso che era troppo pericoloso continuare a cavallo perché stavamo affianco al precipizio. Così abbiamo proseguito a piedi e siccome aveva nevicato molto in alcuni punti la neve mi arrivava fino alle ginocchia. Stavo con scarpe da ginnastica e jeans, che ovviamente si sono inzuppati. Quella dorsale non finiva mai, stavo veramente al limite delle forze, un altro po’ e vedevo uno yeti. Ma anche dopo quando sono risalito sul cavallo non è stato facile perché la neve gli arrivava a volte fino alla pancia e quindi aveva difficoltà a camminare, scivolava e sobbalzava spesso ed era una situazione stressante.

 

Finalmente siamo giunti al lago Song-Kul, che si trova poco oltre i 3000 metri ed era ancora completamente ghiacciato. Faceva già un po’ più caldo e non c’era più quel vento gelido.

 

Casa dolce casa! Lo yurt, la tipica abitazione nelle montagne del Kyrgyzstan. Qui abbiamo dormito la seconda notte. Di solito gli yurt sono formati da una singola tenda. In questo caso la tenda centrale fungeva da cucina e soggiorno e le due laterali da camere da letto.

 

Lo scenario intorno.

 

Un altro yurt.

 

La sera prima mi era venuto il mal di gola e avevo brividi di freddo, credo per la febbre visto che lo yurt era molto caldo all’interno. Siccome dovevamo ripassare di nuovo per la dorsale a 3400 metri ero preoccupato di arrivarci in quelle condizioni, soprattutto se avrebbe fatto lo stesso freddo. Invece per fortuna il giorno dopo stavo già bene ed era una giornata relativamente calda. Questo è un tratto della dorsale del giorno prima, la neve era scesa di molto.

 

Paesaggio.

 

Un distinto vecchietto a cavallo.

 

Signori giocano a scacchi al mercato di Osh, la seconda città del Krygistan. Questo mercato si trova qui da oltre 2000 anni ed è stato uno dei maggiori mercati della Via della Seta, ovvero quel reticolo di sentieri commerciali dalla Cina a Roma, con diramazioni fino in India, Arabia, Africa orientale e Sud-est asiatico e di cui questa regione era il cuore.

 

Persone al mercato.
“Dekà ma k s mettn ‘n cap sti signori?”
E’ il cappello locale. Non vi permetto di fare ironie su usi e cappelli degli altri popoli su questo blog.

 

Persone pregano sul sentiero che affianca la Sulaiman-Too, una montagna che sovrasta la città ed è considerata sacra da tempo immemorabile. E’ inoltre secondo molti storici la “Torre di pietra” che segnava il punto centrale della Via della Seta.
In questa foto le persone pregavano di fronte ad una piccola bassa caverna. Le donne vi entravano e uscivano quasi strisciando perché è di buon augurio per la maternità. In un altro punto del percorso le persone si lasciavano scivolare su una roccia lisca per ottenere buona salute.

 

Sparsi nelle caverne della montagna Sulayman ci sono petroglifi che risalgono all’età del bronzo. Questo si trova appena all’interno del museo di Sulaiman-Too, creato scavando all’interno della roccia.

 

Madre e figlia.

 

Dal Kyrgyzstan sono giunto via terra a Khujand in Tajikistan, la più povera e piccola delle cinque nazioni. E’ un Paese molto montuoso, in media ci si trova sui 3000 metri. Quello nella foto è il presidente in carica fin dal crollo dell’Unione Sovietica. Ma non si dica che non c’è democrazia. Le strade sono tappezzate con la sua immagine, è difficile fare 200 metri senza beccare una sua foto.

 

Da Khujand sono giunto con un taxi collettivo (il mezzo che sto usando più spesso da queste parti) alla capitale Dushanbe, attraverso una strada di montagna tanto spettacolare quanto pericolosa. Questa è la libreria nazionale. Negli ultimi 10 anni sono sorti moltissimi edifici sulla via principale della città e nel parco intorno. Anche se a volte un po’ pacchiani, sono comunque belli ed è molto piacevole e rilassante passeggiare per il suo centro.
Tutte le nazioni del Centro Asia stanno avendo una ripresa economica in questi anni, dopo il collasso subito negli anni seguenti il crollo dell’Unione Sovietica. In particolare stanno iniziando a sfruttare le varie risorse naturali di cui sono ricchi. Nel caso del Tajikistan si tratta soprattutto dell’acqua.

 

Signore fanno il pane.

 

Hisor, una cittadina che è stata un importante punto di riferimento sulla Via della seta.

 

Colori al mercato di Dushanbe.

 

Al mercato una signora mi guardava in una maniera strana. Ma ho capito chi era. E’ la Signora Morte ed era venuta per me. Ora prendo il cavallo più veloce che c’è (mhm, insomma) e fuggo via da lei a…
Non so se avete capito a quale storiella mi riferisco ma ne parleremo nella prossima puntata. Nel frattempo faccio qualche gesto scaramantico perché non vorrei portarmi sfiga da solo.