Piccole Antille – Parte 2: Santa Lucia, Martinica e Dominica

Ciao a tutti! Seconda parte del piccolo viaggio nelle “Isole Sopravento Meridionali” delle Piccole Antille. Questa volta vi racconto di Santa Lucia, Martinica e Dominica.

Rimetto la mappa del Mar dei Caraibi (da www.arcgis.com)

Gli spostamenti fra le isole non sono stati agevoli. Nei tratti in cui non ci sono traghetti la compagnia aerea LIAT è riuscita ogni volta ad accumulare ore e ore di ritardo per tratti in cui bisognava praticamente decollare e atterrare. Ancor peggio però sono stati gli spostamenti via mare, con la catastrofica “Express Des Iles” che si è addirittura rubata 69 euro dal mio conto con una transazione inventata! Quando gliel’ho fatto notare mi hanno risposto che è evidente che c’è stato un errore ma purtroppo non possono rimborsarmi perché il biglietto acquistato non è rimborsabile. Giustamente, hanno effettuato una transazione non autorizzata per un biglietto non rimborsabile, e quindi a rigor di logica non possono rimborsarmelo. Siccome ormai sono troppo distante per procedere a semplici e risolutivi atti di vandalismo, fra qualche giorno li denuncerò da bravo cittadino civile.

 


A Santa Lucia o “Hewanorra” nella lingua del Kalinago, “la terra dove di trova l’iguana”. E’ il posto dove ho maggiormente sentito l’aria caraibica, fra baretti dove ci si ubriaca bevendo rum al frastuon di musica.

Nel ’500 e ’600 fu soprattutto un rifugio di pirati e contrabbandieri. I primi tentativi di occupazione da parte degli europei furono respinti dalla tenace resistenza degli indigeni caribi. Ci riuscirono i francesi nel 1746 creando una colonia, la cittadina di Soufrière, dopo aver stipulato un pacifico contratto con la popolazione locale. Ovviamente, qui come altrove, gli indigeni furono puniti per la propria ingenuità sulla perfidia dei coloni europei e già pochi decenni dopo erano stati quasi completamente annientati. L’isola intanto rimbalzava ben 14 volte fra Francia e Gran Bretagna, fino al 1814 quando passò definitivamente in mano a quest’ultima. Nonostante ciò, l’influenza francese restò più sentita ed anche la lingua è una sorta di dialetto francese. Ancor più evidente è l’influenza africana.
Ha ottenuto l’indipendenza dalla perfida Albione nel 1979. Ha circa 180.000 abitanti e può vantare anche un premio Nobel per la letteratura, Derek Walcott, che però è morto proprio pochi giorni dopo il mio passaggio sull’isola.

 

Bar a Castries, la capitale di St.Lucia.

 

Ragazzo.

 

Persone.

 

Strada a Castries.

 

Fra le caratteristiche case in legno di Soufrière, che fu il primo insediamento francese.

 

Ragazze e colori.

 

Signore.

 

Signore al bar.

 

Ed eccoci in Martinica, chiamata dai Kalinago “Madinina”, “la terra dei fiori”, che in realtà non è una nazione a sé ma fa ancora parte della Francia, come “Dipartimento d’oltre mare”. Quindi in pratica è come stare in Europa, ed infatti si utilizza l’Euro.
Anche quest’isola fu contesa fra Francia e Gran Bretagna (che Dio le stramaledica entrambe! – vabè questa non è molto da storico imparziale) e anche qui la popolazione locale fu annientata o ridotta in schiavitù, prima di importare altri schiavi dall’Africa.

In tutte le isole sono stato trattato con grande ospitalità ma un posto d’onore devo darlo alla Martinica: quando sono arrivato, mentre vagavo con lo zaino sotto al sole nell’ormai sconsolata ricerca del mio appartamento affittato, ho chiesto ad un signore alla finestra se conoscesse l’indirizzo. E’ uscito di casa e mi ha accompagnato con la sua macchina. Il giorno dopo la vicina di casa mi ha accompagnato al villaggio vicino a cercare un posto dove noleggiare un’auto e l’ultimo giorno suo marito, ex attaccante della nazionale della Martinica, mi ha addirittura dato un passaggio fino alla capitale per prendere il traghetto. Davvero gentilissimi.

 

Come dicevo, in Martinica ho affittato un’auto perché è troppo complicato spostarsi coi mezzi pubblici. Ma a parte la necessità ne è valsa davvero la pena soprattutto per le splendide stradine che attraversano piccoli villaggi, si arrampicano fra le colline nella foresta e costeggiano l’azzurro mare.

 

Il mio appartamento aveva la vista sullo spettacolare “Diamant”, un roccione isolato alto circa 175 metri. Durante questo viaggio ho utilizzato per la prima volta AirBnb e mi sono trovato sempre bene.

 

Cattedrale St.Luis, nella capitale Fort-de-France.

 

A St.Pierre, primo insediamento francese ed ex capitale della Martinica. Era la più cosmopolita città dei Caraibi nell’800, soprannominata la “Parigi dei Caraibi”. Tutto sparì in pochi minuti, l’8 marzo 1902, per l’eruzione del vulcano Mount Pelée, la cui crescente attività simsmica dei mesi precedenti era stata considerata non pericolosa dalle autorità.
Su 30.000 persone sopravvissero solo 3, fra cui tale Cyparis che si salvò per essere stato incarcerato per ubriachezza molesta dentro quella cella poco arieggiata e dalle spesse mura.

 

Un villaggio di pescatori.

 

Tramonto

 

Ed infine, ultima tappa, la Dominica, la più selvaggia e la meno turistica delle isole visitate. Il nome originario è “Waìtukubuli”, che non significa “Vai tu con Buli”, bensì “Il suo corpo è alto”, e in effetti è quella con le montagne più alte. A differenza delle altre isole ci sono poche spiagge, ma è coperta per oltre tre quarti da una splendida fitta foresta, dove scorrono ben 365 fiumi, uno per ogni giorno.
Anche qui Francia e Gran Bretagna si contesero il possesso con battaglie, guerre e trattati. Alla fine prevalse il Regno Unito che l’ha mantenuta fino al 1978, quando ha ottenuto l’indipendenza.
Per via della sua fitta foresta è stato uno dei luoghi preferiti degli schiavi in fuga, i cosiddetti “Maroon”, i quali formarono comunità al suo interno e combatterono spesso con azioni di guerriglia gli inglesi che tentavano di ricatturarli. Alla fine però, nel 1814, gli inglesi riuscirono a prevalere definitivamente e tutti i leader Maroon furono giustiziati.
Per quanto riguarda la popolazione locale, anche qui oppose una fortissima resistenza ma almeno, a differenza del resto dei Caraibi, è sopravvissuta fino ad oggi ed occupa un territorio del nord-est dove vivono circa 3000 discendenti diretti dei caribi, o Kalinago nella loro lingua. E’ l’unica comunità di caribi esistente.

 

In Dominica purtroppo sono stato un po’ sfortunato. Ho avuto un’infiammazione al piede che non mi ha permesso di muovermi negli ultimi due giorni. Di conseguenza non ho potuto visitare alcuni luoghi. In compenso il posto dove ho alloggiato era davvero straordinario, una capanna nel bel mezzo della foresta! Nella notte ero avvolto da un concerto di versi misteriosi.

 

Ci sono moltissime specie di uccelli, soprattutto piccoli, ad esempio i Colibrì.

 

Nel territorio dei Kalinago, con gli ultimi discendenti diretti delle popolazioni indigene delle Antille.

 

Un bar nella riserva dei Kalinago. Il loro territorio è di circa 15 km quadrati e come ho già detto ci vivono circa 3000 persone.

 

Ragazzo Kalinago.

 

Signora.

 

Una scultura in legno che rappresenta uno dei precedenti capi della comunità.

 

Lucertola.

 

Bene, anche la seconda parte è conclusa. Grazie a me ora siete un po’ più colti ed appagati esteticamente. Ah, vedete che sulla colonna a destra ho inserito l’opzione per offrirmi una birra ;-) Non siate timidi! Non siatelo.

Piccole Antille – Parte 1: Barbados e Saint Vincent & Grenadine

Ciao a tutti! Rieccomi. Questa volta vi racconto un viaggetto di 3 settimane nelle cosiddette “Isole Sopravento Meridionali” delle Piccole Antille. Precisamente: Barbados, Saint Vincent & Grenadine, Santa Lucia, Martinica e Dominica.

Lo dividerò in due post diversi, quindi in questo vedrete Barbados e St. Vincent & Grenadine e fra pochi giorni vi racconterò delle altre tre isole, così scriverò un po’ più del solito, visto che purtroppo i post sono sempre più rari. Eeeeh, ormai i viaggi diminuiscono e la fatica aumenta!! Chi me lo doveva dire. Chi me lo doveva dire.

Vi metto la mappa del Mar dei Caraibi (da www.arcgis.com/) sennò già lo so che non capite bene dove si trovano le isole:

Allora, le Piccole Antille sono quelle che formano come un arco ad est, verso l’Atlantico. Sono giunto alle Barbados, l’isola più orientale. Da lì sono andato all’arcipelago di St. Vincent e Grenadine e sono risalito fino alla Dominica (non la Repubblica Dominicana) passando per Santa Lucia e Martinica.

Nonostante la vicinanza, ogni isola-nazione ha una sua storia particolare ed anche dal punto di vista naturalistico sono abbastanza diverse.

Originariamente queste isole erano abitate dagli Arawak. A cavallo del primo e secondo millennio i Caribe (da cui viene il nome ‘Caraibi’) li rimpiazzarono quasi completamente, facendoli fuggire verso nord-ovest.
Le popolazioni locali furono in seguito decimate o completamente annientate dai barbari conquistatori europei, che comunque per circa un secolo dal loro arrivo non presero in gran considerazione queste isole, essendo più interessati ai luoghi dove estrarre o depredare metalli preziosi.
Nel ’600 fu invece intuito il loro potenziale come luoghi ideali per le piantagioni, soprattutto di zucchero. Passarono quindi sotto il dominio dalle potenze europee, soprattutto Gran Bretagna e Francia, con isole che rimbalzarono più volte sotto il controllo dell’una o dell’altra in seguito a battaglie sul posto o a guerre e trattati nel Vecchio continente. Come forza lavoro furono portati gli schiavi dall’Africa.

La storia di queste isole è anche legata alla pirateria nei Caraibi, che si si sviluppò durante il ’600, quando gli spagnoli avevano il monopolio del commercio con le proprie colonie nel Nuovo Mondo. Trovandosi sulla rotta delle navi spagnole che da Panama tornavano in Spagna, ed essendo piene di baie e insenature dove nascondersi e fuggire, erano il luogo ideale per gli arrembaggi.
I pirati erano in maggioranza ex marinai inglesi, francesi e olandesi che fuggivano in questo paradiso tropicale dalle terribili condizioni di vita sulle proprie navi e dalle ristrettezze economiche in terra.
Siccome nel Vecchio continente le loro nazioni erano spesso in guerra con gli spagnoli, erano all’inizio ben visti in patria, se non proprio autorizzati, come ad esempio i corsari che avevano ottenuto una “lettera di corsa” per depredare legalmente. Quando però anche inglesi francesi e olandesi svilupparono interessi commerciali in queste zone, i pirati non ebbero più nessun appoggio. Diventarono quindi pirati veri e propri, contro tutto e tutti. Iniziarono a espandersi anche nel resto del mondo, in Africa occidentale, nel Madagascar, nell’Oceano indiano e in effetti è in Africa, nell’anno 1700 a largo di Capo Verde, che viene documentata per la prima volta una bandiera pirata, il Jolly Roger, che diventerà un simbolo d’identità per questa sorta di comunità transnazionale libertaria.
Nel 1720, nel periodo d’oro, ci sono circa 2000 pirati che scorrazzano per i mari del mondo, ma di lì a poco non poterono competere con l’agghiacciante monotona efficienza delle nascenti Stato-nazioni. Nel 1723 i pirati sono già scesi a un migliaio. Pochi anni dopo sono meno di duecento e quasi tutti i famosi capitani pirata sono ormai stati uccisi in battaglia o impiccati.
Un destino comunque ben noto ai pirati che erano consci di aver imboccato una via senza uscita. E in effetti più che i bottini e le battaglie, l’indiscutibile fascino dei pirati, allora come oggi, proviene da questa loro estrema ricerca di libertà, dallo straordinario coraggio della scelta di evadere da anguste imposizioni economiche e morali, verso la deriva di un’esistenza ribelle e autodistruttiva, che si ­sbeffeggiava di ogni autorità, di ogni convenzione e persino della morte.

 

Prima tappa: Barbados, l’isola più ad est e per questo motivo anche la più isolata rispetto alle altre. E’ lunga circa 35 km e larga 23. Tutt’intorno all’isola corre quasi ininterrotta una cintura di splendide spiagge. Le spiagge sul lato orientale, verso l’Atlantico, sono più selvagge, con un mare blu scuro e onde grandi, molto amate dai surfisti. Sul lato sud-occidentale, che affaccia sul Mar dei Caraibi, le spiagge sono bianche e idilliache, con il classico mare turchese caraibico.

Fu occupata da dagli inglesi nel 1625 e a differenza delle altre isole non c’erano già più indigeni presenti, i pochi sopravvissuti all’incredibile ferocia degli europei erano probabilmente fuggiti altrove.
In pochi decenni la foresta che copriva l’intera isola fu distrutta per dar posto alle piantagioni, soprattutto di zucchero. Negli ultimi trent’anni invece, siccome la richiesta mondiale di zucchero è calata, la foresta sta riformandosi nuovamente nelle zone interne.
I lavoratori delle piantagioni erano schiavi dall’Africa occidentale. L’integrazione fra la popolazione bianca e quella nera avvenne abbastanza velocemente, già prima dell’abolizione della schiavitù, grazie sopratutto al fatto che dalla fine del ’700 le scuole parrocchiali accettavano i figli degli schiavi come studenti e già agli inizi dell’800 c’erano scuole miste, a differenza ad esempio degli Stati Uniti dove la segregazione razziale nelle scuole è stata dichiarata illegale solo nel 1954 (ma, si sa, quello è il paese delle libertà).
Ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1966.

 

E vedete che alle fermate dell’autobus non c’è bisogno di mettere pannelli con foto di palme e mare, come quelle per alleviare la depressione nelle grige metropoli nostrane. Basta lasciare vuoto.

 

Barbiere arancione. Ovviamente alle Barbados c’è un gran bisogno di barbieri! :D

 

Barbadoregni

 

Casa

 

Bambina

 

Tartaruga di mare.

 


Madre e figlia

 

Qui siamo a Kingstown, la capitale di Saint Vincent e Grenadine, un arcipelago di 32 isole, più un centinaio di isolotti e atolli. Solo 7 isole sono abitate. Saint Vincent è l’isola più grande, con circa 100.000 abitanti, di cui 25.000 nella capitale. Segue Bequia con circa 4000 abitanti e Union Island con quasi 3000.

Le potenze europee non conquistarono subito l’arcipelago, sia per un certo disinteresse, sia per la forte ostilità dei Caribe.
Nel 1675 una nave di schiavi africani fece naufragio vicino Bequia. I sopravvissuti si unirono alla popolazione locale creando una sorta di nuova etnia, i Caribe neri, anche detti ‘Garifuna’ e queste isole saranno in seguito anche la scelta preferita degli schiavi in fuga dalle isole vicine.
Nel 1719 i francesi riuscirono a stabilirvisi e nel 1763 passò sotto dominio inglese. Oltre alle guerre con i francesi, che riuscirono per alcuni anni a riconquistare il potere, gli inglesi dovettero combattere diverse battaglie con l’indomabile popolazione locale che fu però sconfitta definitivamente verso la fine del ’700 e in gran parte deportata in schiavitù su un’isola a largo dell’Honduras.
Ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1979.

 

Persone a St.Vincent. Come in Giamaica, la cultura Rasta è molto forte. La lingua ufficiale è l’inglese, ma in realtà la gente parla una sorta di dialetto inglese con influenze spagnole, francesi, portoghesi, indigene e africane.

 

Ragazza con figlia.

 

Scolari.

 

E a proposito di pirati, diverse scene del film “Pirati dei Caraibi” sono state girate alla baia Wallylabu di Saint Vincent, ad esempio l’entrata in scena di Johnny Depp che affonda direttamente sul pontile.

 

Il porto principale di Bequia, l’isola più grande dell’arcipelago dopo St. Vincent.

 

Una spiaggia di Bequia.

 

Questo bar è il ritrovo degli ultimi cacciatori di balene al mondo. Infatti la comunità di Bequia è fra le 4 comunità al mondo a cui è ancora permesso di dare la caccia alle balene dall’International Whaling Commission. Le altre tre sono intorno al circolo polare Artico. E’ invece completamente illegale quella effettuata in grande scala e con mezzi iper-tecnologici dal Giappone.
E’ probabile che l’anno prossimo il permesso verrà revocato per sempre, dato che la comunità non ne ha più davvero bisogno, potendo vivere con altri mezzi, ad esempio il turismo. Al momento la caccia è consentita dal 1 febbraio al 1 aprile. Non si possono superare i 3 esemplari l’anno e non si possono utilizzare mezzi tecnologici.

 

Questo pescatore ha catturato l’ultima balena, due anni fa.

 

Come vedete, la barca utilizzata per la caccia non è molto grande. L’equipaggio è formato da 7 pescatori. La balena viene avvistata da una collina in alto, dopodiché si corre giù alla barca e si cerca di raggiungerla utilizzando la vela. La si cattura con un arpione attaccato ad una lunga corda che viene poi attorcigliata intorno ad un pilone sporgente nella parte posteriore della barca. Dopo un’estenuante lotta per non farsi disarcionare, ci si avvicina e la si uccide con un altro arpione.

 

Una volta uccisa, la balena viene portata su quell’isoletta e viene fatta a pezzi.

 

Questi pescatori hanno invece catturato uno squalo.

 

Una baia di Bequia. Sta diventando anno dopo anno una delle tappe preferite per chi viaggia in barca a vela o in yacht in queste zone.

 

Ok, fine della prima parte. Fra un paio di settimane vi racconterò Santa Lucia, Martinica e Dominica. A presto! :-)