Alla ricerca della ciudad perdida . . .

Salve carissime amiche e cari amici! Stavolta vi racconto della straordinaria Ciudad Perdida, la città perduta nella foresta colombiana.
Il suo nome è Teyuna e fu costruita intorno all’ 800 d.C. dai Tayrona, nome generico delle popolazioni che abitavano queste zone prima dell’arrivo degli spagnoli. Dopo che fu abbandonata fu inghiottita dalla foresta per oltre 400 anni fino ad essere scoperta nel 1972 dai tombaroli, i quali, per qualche anno prima di essere scoperti, venderono nei mercati i suoi tesori, soprattutto oggetti d’oro. All’inizio degli anni ’80 sono iniziati ad arrivare i primi turisti e l’unico modo per raggiungerla è con un trekking nella foresta di almeno 4 giorni organizzato da una agenzia.
Vi faccio un foto-racconto così vi spiego tutto bene via via.

 

Si entra nella foresta. In linea di massima il trekking consiste nell’andare su e giù per i monti della Sierra Nevada di Santa Marta. A volte affiancando il fiume Buritaca, a volte sulle dorsali.
È abbastanza impegnativo ma vale abbondantemente la pena farlo, sia per gli spettacolari scenari che si attraversano, sia per la città perduta in cui si giunge alla fine.
Il problema principale lungo il cammino è soprattutto una fanghiglia che in diversi tratti arriva fino alle caviglie e rende faticose le salite e pericolose le discese per via degli scivoloni. In molti punti ci sono sentieri molto stretti che affiancano precipizi e quindi bisogna stare attenti.

 

Il mio primo giorno è stato più faticoso del normale perché ho coperto il tratto che avrei dovuto fare in due. La notte prima di partire l’agenzia mi aveva detto che non c’era nessun altro a parte me e quindi o aspettavo almeno un altro giorno che si formasse un gruppo o raggiungevo quello partito il giorno prima.
Così ho fatto quasi 10 ore di trekking, le ultime 2 ore con la pila, era già buio. La mia guida era un ragazzino e a un certo punto si è aggiunto un cane che ha fatto la strada con noi.

 

Nel sentiero buio sono iniziati a spuntare grossi rospi. Prima di partire l’agenzia mi aveva raccomandato di non toccarli se li incontravo perché velenosi. Poi ho capito: probabilmente sono i famosi rospi allucinogeni! Una bella leccata di rospo… e via, verso nuovi orizzonti! Eh lo so ragazzi, ma nella vita niente è gratis.

 

Al primo accampamento ho iniziato a incontrare i nativi discendenti dei Tairona, che si dividono in 4 gruppi: i Kogui, gli Ikas (anche Arhuacos) i Wiwa e i Kankwamos. Parlano il linguaggio chibcha.
Quando, dopo 75 anni di combattimenti, gli spagnoli conquistarono definitivamente la Sierra Nevada, massacrarono i restanti Tairona e incendiarono i loro villaggi. Alcuni indigeni però riuscirono a fuggire nelle zone alte delle montagne e, nascosti alle armate spagnole e ai missionari, ricrearono alcune comunità.

 

Donna del gruppo dei Kogui. Nella loro ingenuità primitiva considerano la Terra come un essere vivente da trattare con cura e rispetto, persino nel modo di coltivarla. Invece di sfruttarla brutalmente e massimizzare il profitto si preoccupano degli animali che la abitano e delle generazioni future, che folli!!

 

Bambini indigeni.

 

Dopo una notte di meritato riposo al dolce suono del fiume e degli animali notturni, mi sono aggiunto al gruppo di un’altra agenzia perché quello che dovevo raggiungere nel frattempo si era spostato più avanti del previsto.

 

Serpente velenoso lungo il sentiero. Tutto molto alla Indiana Jones, insomma.

 

Si attraversano fiumi e ruscelli.

 

I discendenti dei Tayrona hanno una visione molto spirituale dell’esistenza. Tutto per loro ha un significato simbolico e ciò che è importante sono proprio le connessioni di significato che legano l’intero universo al di là delle realtà tangibili. Così, ad esempio, una casa è anche una montagna e una montagna è anche il cosmo… ogni elemento, anche il più piccolo riflette il tutto. Salvare una piccola parte di Terra può salvare l’intero pianeta e loro credono di star facendo proprio questo. E speriamo che abbiano ragione e ci riescano.

 

Dalla mitologia Kogui:
All’inizio c’era il mare. Tutto era oscuro. Non c’era né sole né luna, né gente, né animali, né piante.
C’era solo il mare, dappertutto. Il mare era la Madre. Ella era acqua e acqua ovunque, ed era fiume, laguna, ruscello e mare, e così si trovava in tutte le parti. Così, all’inizio c’era solo la Madre. Si chiamava Gaulchovang.
La Madre non era né gente né alcuna cosa. Ella era alùna. Ella era lo spirito di ciò che sarebbe venuto e ella era pensiero e memoria. Così la Madre esisteva solo in alùna, nel mondo più basso, nell’ultima profondità, sola…

 

Bambine preparano un asinello.

 

Nella nebbia mattutina.

 

Cavalli nella foresta.

 

A un certo punto, dal fiume inizia una lunghissima scalinata che porta su alla ciudad perdida. Le popolazioni indigene affermano di sapere da sempre dell’esistenza della città e in effetti è improbabile che, bazzicando in queste zone, non avessero mai notato questa scalinata prima.

 

Finalmente si giunge dentro la ciudad perdida. E’ molto grande, circa 3 km quadrati, ma molte parti sono coperte dalla foresta ed è stato deciso di lasciarle così. I cerchi di pietra che si vedono sono i punti in cui si trovavano le capanne, che erano dello stesso tipo di quelle dei loro discendenti adesso. Quando gli archeologi sono giunti le parti maggiormente danneggiate dai tombaroli erano proprio queste perché i Tayrona seppellivano i morti sotto le proprie case, adornandoli di tantissimi ornamenti d’oro.

 

Militari stanziati nel sito. Il principale problema sono ancora i tombaroli alla ricerca di oro e tesori. Inoltre, nel 2003 i guerriglieri dell’ ELN (Esercito di liberazione nazionale) sequestrarono un gruppo di turisti per chiedere maggior attenzione sui diritti umani in Colombia e li rilasciarono dopo 3 mesi.

 

La città sale dai 900 metri di altezza fino ai 1300 ed è composta di ripiani a vari livelli con un complesso sistema di drenaggio dell’acqua piovana. Un tempo tutte le città della zona, oltre 200, erano collegate da sentieri in pietra nella foresta, fino al mare. Quasi certamente altre città sono ancora nascoste da qualche parte intorno e secondo me i tombaroli le hanno già trovate ma stavolta stanno attenti a non farsi sgamare. Gente pratica, se aspettiamo che le scoprano quei topi da biblioteca degli archeologi, buonanotte.

 

Secondo la guida, che un po’ in tutto si è dimostrata molto preparata, era una città al solo scopo sacrale e religioso e veniva abitata solo per quelle occasioni. Altrove ho invece letto che, oltre che religioso, era anche un importante centro politico ed economico ed era abitata permanentemente dalle 1500 alle 3000 persone.

 

Vista dall’alto.

 

Ed eccomi lì, anche questa è fatta.

 

Grazie per i bellissimi commenti! Meriterebbero tutti il premio miglior commento. Dovendo proprio scegliere, siccome zia Marina e Piergiorgio 2 la vendetta ne hanno già vinto uno e quindi dopo va a finire che vengo accusato davvero di nepotismo, scelgo fra Gianmarco e Peppe quello di Gianmarco, anche perché mi ha fatto ricordare il mitico poster di Indiana Jones! Gianmarco, dì pure a Marina che zio Dekaro non si dimentica mai dei suoi nipotini, la “soppresa” ci sarà!
Peppe, manco a farlo apposta mai come stavolta il post è proprio figliopieroangeliano. Ok, tenterò di scrivere cose più “filosofiche”, ma tanto già so che dopo sbucheranno quelli che invece diranno: no, non mettere tutti questi vaneggiamenti, metti solo le foto e così via. Io purtroppo non posso accontentare tutti e il contrario di tutti. E poi basta filosofare, ora è tempo di agire.

69 thoughts on “Alla ricerca della ciudad perdida . . .

  1. Decarlo ma a parte serpenti, lumache, scarrafoni, aironi, falchetti, scimmie, ecc., una passera non l’hai vista???
    Un pò di sesso in questo racconto non guasterebbe….

  2. bravissimo,ce l’hai fatta anche questa volta nonostante le numerose insidie e i terribili pericoli!!!!!!!!!! grazie per averci portati a visitare la città perduta insieme a te. a proposito dei tuoi commenti devo dire che a me piacciono, chi non ama leggere li può tranquillamente saltare.

  3. Ciao Giovanni, ripulendo la posta di ArtEmpori ho trovato la tua mail e quindi solo oggi ho aperto il tuo fotodiario: una emozione unica!
    *dekarite> questa fase io la chiamo “ascetico distacco” e non è una malattia, anzi la definirei una terapia, necessaria per recuperare energia fisica e mentale.
    Buon viaggio

    ps ho condiviso su fb il tuo DeKaro diario, posso rubarti una foto da mettere sul profilo?

  4. Con ritardo epico…..cavolo che figata la ciudad perdida!!!! alcune foto mi hanno ricordato Tikal e tutta la magica atmosfera che c’è in quei luoghi sopratutto se si è isolati e senza gente attorno!