Varanasi (India)

Salve amici! Questa volta vi racconto di Varanasi, la città più sacra degli induisti. E’ anche chiamata col suo vecchio nome Kashi o col nome inglesizzato Benares ed è una delle città più antiche al mondo.
Nonostante sia stata distrutta diverse volte, tanto che quasi tutti gli edifici che ci sono ora non sono più vecchi di qualche secolo, sono sopravvissuti riti millenari che si sono tramandati fino ad oggi. E in effetti la magia della città sta proprio in questo ed è sicuramente fra i luoghi che restano maggiormente impressi nella memoria, anche se a volte ci si trova in situazioni che possono turbare, come quando ci si imbatte nelle pire funerarie. C’è inoltre un traffico claustrofobico con un suono perenne di clacson.

La città si affaccia sulla riva occidentale del Gange tramite i cosiddetti “ghat”, ovvero gradinate o scalini che portano al fiume. Ce ne sono in totale 88 ed ognuno ha una sua qualche caratteristica che lo rende diverso dagli altri.

 

Iniziamo dal ghat più “inquietante”, ovvero quello delle cremazioni, con le pire che ardono interrottamente 24 ore su 24.
Infatti, per gli induisti è propizio venire cremati a Varanasi e di conseguenza molti defunti vengono portati qui. Inoltre, si crede che morire a Varanasi permetta di ottenere la “moksha”, ovvero di fuggire al ciclo delle rinascite e per questo motivo molti anziani da tutta l’India si trasferiscono a Varanasi in attesa della morte.

 

Il ghat si chiama Manikarnika ed è stato fra i primi che ho visitato, non intenzionalmente. Mi sono ritrovato quindi improvvisamente a girare fra le pire per la cremazione. Da vicino si vedono chiaramente i corpi e mi ha fatto un po’ impressione. Altri corpi in attesa di essere cremati vengono messi sulla scalinata, coperti da ghirlande di fiori arancioni.
Non potevo fare foto (a meno che non facevo una donazione francamente esagerata), ma comunque non mi sentivo nemmeno a mio agio a farle, le ho fatte in seguito da una barca.

 

Una pira. Ho tagliato la parte destra della foto perché si vedeva una parte del corpo ed era quindi un po’ impressionante oltre che forse irrispettoso.

 

Più alta è la casta del defunto, più in alto viene posizionata la pira.

 

Varanasi è la città di Shiva, probabilmente la più antica e popolare divinità indù. I membri di alcune sette shivaiste vanno in giro nudi o seminudi, coperti solo di una cenere grigio-blu.

 

Un santone.

 

A volte sono completamente nudi.

 

Se già nel resto dell’India la religiosità si respira ovunque e ci si ritrova spesso in mezzo a cerimonie o feste, a Varanasi è praticamente vita quotidiana. La città ha oltre 700 templi, però il luogo maggiormente venerato è il fiume Gange. Sin dal sorgere del sole i fedeli si recano sulla riva a pregare e a bagnarsi nelle sue acque, considerate sacre. Ogni sera, dopo il tramonto, ci sono due cerimonie col fuoco, chiamate Aarti, in onore del fiume. E ogni sera ci sono moltissimi spettatori, anche perché Varanasi è meta di pellegrinaggio degli induisti, i quali sentono il dovere di visitarla almeno una volta nella vita.

 

Questa è la cerimonia aarti all’Assi Ghat, l’ultimo Ghat verso sud.
Finita la cerimonia siamo andati tutti a salutare “Madre Gange”, chi bevendone un po’ d’acqua, chi (come anche me) donando una fiammella che è andata via galleggiando fra tante altre fiammelle nella notte.

 

Questa invece è la cerimonia al Dashashwamedh Ghat, dove confluiscono più spettatori, posizionati soprattutto su barche di fronte al ghat.

 

Ho messo un breve video su Youtube di questa cerimonia: Video cerimonia Aarti

 

Il Jain ghat, con il simbolo giainista della svastica. Anche per i giainisti Varanasi è una fra le città più sacre.

 

Il Munshigat, dove da alcuni anni quell’edificio a sinistra è stato convertito in un hotel di lusso.

 

Persone sui ghat.

 

Il Kedar ghat, su cui si trova un tempio induista.

 

Persone che passeggiano. Non è facile muoversi per la città perché c’è sempre molto traffico e spesso anche muovendosi a piedi bisogna camminare fra le strade trafficate. Ho caricato un altro breve video su Youtube che fa vedere il traffico: Video traffico Varanasi.

 

Bancarella.

 

Ragazzina musulmana.

 

Famiglia.

 

Strana.

 

Fra i vicoletti della città vecchia.

 

Persone nella città vecchia.

 

La tipica mucca che passeggia per le strade indiane, in questo caso già abbastanza stretta.

 

A una decina di chilometri da Varanasi, luogo fra i più sacri per gli induisti e i giainisti, si trova uno dei luoghi più sacri per i buddisti: Sarnath. E’ al parco dei cervi di Sarnath, dove c’è ora quel grosso stupa, che Buddha pronunciò nel 527 a.C. il suo primo sermone ai suoi 5 amici e discepoli, poco dopo aver raggiunto l’illuminazione. Quel sutra è alla base di tutta la filosofia buddista e spiega le quattro nobili verità, ovvero che esiste il dolore, c’è un motivo per cui c’è il dolore (ovvero il desiderio e l’attaccamento), si può sconfiggere il dolore eliminando il desiderio e l’attaccamento e infine come riuscire a farlo (con il il nobile ottuplice sentiero).
Già pochi secoli dopo la morte di Buddha questo luogo divenne molto importante, con diversi monasteri e templi buddhisti di cui restano oggi solo rovine. E’ qui che è stato trovato il capitello coi quattro leoni che è diventato il simbolo dell’India.

 

E infine, l’avete riconosciuto, il Taj Mahal ad Agra. L’avevo già visitato ben ventitré anni fa… ehhh gli anni passano.
Fra i più grandi capolavori architettonici al mondo, è un mausoleo costruito fra il 1632 e il 1653 su richiesta del moghul Shah Jahan per la sua moglie persiana Mumtaz Mahal, morta di parto, di cui era innamoratissimo. Circa 20.000 persone hanno lavorato alla sua costruzione.

 

Ci sarebbero anche altre foto del Taj Mahal e di Delhi, dove mi trovo ora, ma direi basta così. Saluti dal subcontinente indiano e ci risentiamo fra due o tre settimane per qualcosa di completamente diverso…

Kerala (India) – seconda parte

Salve amici! Rieccomi per la seconda parte riguardante il Kerala, lo Stato a sud-ovest dell’India in cui mi trovo. Ve ne ho già parlato nella puntata precedente, quindi metto direttamente le foto e vi racconto senza tanti fronzoli.

 

Alappuzha (anche chiamata col suo vecchio nome Alleppey) è il posto più attrezzato per effettuare un tour delle “backwaters”, ovvero quella serie di canali, fiumi e laghetti immersi nella vegetazione che formano una buona parte del territorio del Kerala.

 

Parto per un tour di 24 ore nelle backwaters. Nel mio caso si trattava di una houseboat piccola con una sola stanza dove dormire la notte. Ero quindi l’unico passeggero, portato in giro da due autoproclamati capitani. Di solito le houseboat hanno più stanze, come ad esempio quella che si vede a sinistra nella foto.

 

La parte superiore della barca. Alla fine sono rimasto qui a dormire per gran parte della notte, al fresco sotto le stelle.

 

Case fra i canali.

 

Una barca-bus, utilizzata dalla gente del posto per spostarsi nelle backwaters, si ferma in un piccolo villaggio con chiesa.

 

Bambini all’interno di una barca-bus.

 

Canale avvolto da vegetazione impressionista.

 

Famiglia.

 

Un’altra houseboat fra gli onnipresenti splendidi alberi di cocco (o palme, per i più pignoli). Il nome Kerala viene appunto da “kera”, l’albero di cocco.

 

La spiaggia di Varkala. E’ avvolta da un guscio di rocce rosse alte una ventina di metri. In alto, ammassati tutt’intorno sul precipizio, ci sono negozietti, ristoranti e localini.
E’ chiamata “Papanasham”, ovvero che lava via i peccati e per questo è meta di pellegrinaggio. Un solo bagno e tutti i peccati della vita sono lavati via per sempre! Non ricordo di aver mai peccato però qualche bagnetto me lo sono fatto comunque, non si sa mai. Un peccatuccio può scappare a chiunque.
E’ un posto un po’ hippy, quasi tutti appassionati di yoga, massaggi, meditazione e cose simili che a me personalmente non hanno mai entusiasmato. Però nonostante non c’era questa affinità di interessi è il posto dove sono rimasto più a lungo finora, oltre 10 giorni, probabilmente perché è il posto più “backpacker” dove sono stato in questo viaggio. Passano gli anni ma la mia anima resterà sempre quella.

 

Ballerino di Kathakali all’interno di un tempio. Il Kathakali è la danza tipica del Kerala. Si tratta di una combinazione fra teatro, danza, canto e musica. I ballerini si preparano per diversi anni prima di essere pronti ad effettuare una performance, soprattutto per poter padroneggiare le espressioni facciali.

 

Aquila.

 

Gironzolando col motorino intorno Varkala ho beccato altre due “feste dell’elefante” (Pooram Gajamela) in due giorni diversi, quindi si vede che è il periodo in cui vengono celebrate. L’elefante è un animale molto amato dagli indiani e non a caso una delle divinità più popolari, Ganesha, ha la testa di elefante.

 

Oltre agli elefanti c’era anche una parata di carri. Qui ci troviamo vicino Edava.

 

Parata con persone vestite e truccate da divinità.

 

Una laguna vicino Kappil.

 

Murale pubblicitario giallo.

 

Persone e colori.

 

Come ho già raccontato nel post precedente, da diverse generazioni il Partito Comunista è il primo partito in Kerala.

 

Il faro sulla spiaggia di Kovalam, dove mi trovo da alcuni giorni. In generale mi piace meno di Varkala perché è meno caratteristica, è solo un posto turistico.

 

“Ammazza ò, ma tiene pure la app pé medità!?” (questa un po’ sul genere “Le più belle frasi di Osho” su Facebook).

 

Al vecchio porto di Kovalam. Si attende l’arrivo delle barche dei pescatori per comprare pesce.

 

Pescatori.

 

Aquile pescano.

 

Un pescatore.

 

Dopodomani lascio il Kerala e volo nella città più mistica dell’India, e quindi del mondo… a presto!