Salento nella “zona cafetera” e le statue di San Agustin

Dolcissime amiche e simpatici amici, rieccomi. Mi trovo a San Agustin, ormai quasi al confine con l’Ecuador dove dovrei arrivare fra qualche giorno. Scendendo verso sud ho attraversato la “zona cafetera”, dove appunto si coltiva il caffè. La Colombia è infatti la terza nazione al mondo produttrice di caffè dopo il Brasile e il Vietnam, il famosissimo caffè vietnamita.
Lì mi sono fermato 5 giorni a Salento, non in Puglia ma il nome viene da lì perché per qualche motivo nella “zona cafetera” le città hanno preso i nomi da varie parti del mondo, me ne sono accorto con spavento sul pullman quando risvegliandomi ho visto i cartelli: Jerico… Damasco… Palestina e ho pensato cavolo devo aver proprio saltato qualche fermata!

Salento è una piccola cittadina fra i monti e in quei giorni è avvenuto un paradosso: nonostante stando lì bevessi continuamente caffè perché me lo ritrovavo sempre intorno, non riuscivo a smettere di dormire! Mi faceva l’effetto opposto. Cioè, non è che mi svegliavo tardi, però poi dopo mangiato un pisolino ci scappava sempre e la notte un paio d’ore dopo cena già mi rificcavo sotto le coperte. Forse sarà stata anche colpa dell’aprile dolce dormire, ma comunque quelle montagne mi hanno fatto venire una sorta di pigrizia, un non voler far nulla tutto il giorno. Per carità, non che altrove venga preso da raptus che mi facciano afferrare un piccone per correre giù in miniera a scavare, ma lì mi sentivo particolarmente accidioso. Forse avevo bisogno di un po’ di riposo e
probabilmente ha influito anche lo sbalzo di temperatura e clima in generale. Sono passati solo alcuni giorni ma mi sembra così lontano il caldo sole della costa caraibica. Salento e San Agustin sono a quasi 2000 metri, fa freschetto, c’è umidità e piove tantissimo.

I tratti di strada sono stati molto piacevoli perché benché in buona parte della Colombia ci sono montagne e valli, qui sono particolarmente spettacolari, a strapiombo e con tante cascate. Fra l’altro da queste parti fino a pochi anni fa i turisti non potevano venirci per via del forte rischio di venir sequestrati dai guerriglieri (in effetti sono posti talmente belli che i turisti ne rimangono… rapiti. Questa è una cretinata di battuta che mi ricordo fin dai tempi di Drive-in, si riferiva alla Sardegna).
Forse anche per questo motivo ci sono molti posti di blocco della polizia e una volta, nel tratto fra Armenia e Popayan, ci hanno fatti scendere tutti dal mini-bus per perquisirci e si sono accaniti soprattutto su di me, forse perché straniero, perdipiù italiano e frequentatore di nipoti di Escobar.
Hanno trovato un 4 o 5 tasche segrete nel mio zaino fotografico di cui ignoravo l’esistenza e poi tirando fuori le rivestiture interne me l’hanno praticamente scassato, insieme al cazzo. Ma tanto “addà turnà zio Pablo” con la sua taglia da mille dollari eheheh :-)
Ah, in tutto questo non hanno controllato le due tasche principali, quelle davanti, in cui avevo 3 chili di cocaina!! Scherzo ovviamente, ma sarebbe stato il massimo.

Sia nei pullman che nelle strade ci sono manifesti in cui si invita a denunciare, sotto ricompensa, i guerriglieri o sospetti tali e alcuni di questi manifesti sono, giustamente, crivellati di pallottole.

Ora mi trovo a San Agustin, dove ci sono splendide e misteriose sculture in pietra di una civiltà di cui si ignora quasi tutto. Si sa che visse da queste parti almeno fin dal 3300 a.C., per poi svanire nel nulla poco prima dell’arrivo degli spagnoli.
Ho già visto un centinaio di statue e secondo me non hanno nulla da invidiare ad altra straordinaria arte pre-colombiana più famosa come degli incas o dei maya.
La loro scoperta è abbastanza recente e molte di esse sono venute alla luce solo nel secolo scorso. Anche il fatto che, come dicevo, queste zone sono state fino a poco fa teatro di guerriglia ne ha probabilmente rallentato la conoscenza nel resto del mondo.
Le sculture rappresentano a volte uomini o donne, a volte animali e spesso un misto. Stavano di solito davanti alle tombe, come a guardia, e venivano ricoperte con esse sotto piccole montagnelle di terra.
E’ davvero difficile risalire alla società che le ha create perché non sono stati riscontrati contatti con altre civiltà e a parte queste sculture, circa 500, sono stati ritrovati solo alcuni utensili, gioielli e i soliti vasi rotti (dopo tanti viaggi sono giunto alla conclusione che il principale hobby degli antichi di tutto il mondo era fare vasi, scassarli e ficcarli nelle tombe :-) )
Come sempre, negli anni i tombaroli hanno fatto moltissimi danni, distruggendo e portando via oggetti di valore.
Sono sparse in diversi siti intorno San Agustin di cui il più grande è il parco archeologico, a 3 km.

 

Le montagne intorno Salento, nella “zona cafetera”. La casa a destra è appunto la sede di una piantagione di caffè.

 

La strada principale di Salento.

 

Sala di biliardo.

 

Persone.
“Simu salentini dellu munnu cittadini, radicati alli messapi cu li greci e bizantini, uniti intra stu stile osce cu li giammaicani…”

 

Strada all’imbrunire.

 

Giocatori di biliardo.

 

Partita in tv per strada.

 

Macchinone del caffè.

 

Spighe abbrustolite.

 

Strada di notte.

 

Anche voi vi leccate i baffi eh? Merdi che non siete altro! (Mi rivolgo ai non-vegetariani).

 

Naso di mucca.

“Dekà e eri ì fin in Colombia p fa e foto ae mukk e i vitiell… e nun putevi ì ncopp o Mates??”

No, non ci potevo andare sul Matese e vi ricordo che questo blog è seguito in tutta Italia, quindi siete pregati di non parlare napoletano.

 

Ma… è San Ibrahimovic! Il biblico protettore degli eliminati in Champions. :-(

 

Un’altra processione: il venerdì santo viene portato il feretro di Gesù.

“Dekà… ma akka nunn è mai vnut a vré na pruciession in vita tua… eri ì fin allà?!?”
Ae, ma vi trovo polemici oggi. E comunque vi avevo chiesto di non parlare in dialetto.

 

Falò davanti alla chiesa il sabato prima di Pasqua. Mi sono fatto pure la veglia, vabbuò??

 

Una pianta strana, col solito cielo plumbeo sullo sfondo.

 

A San Agustin.

 

Cascata.

 

Una tomba affianco al fiume Magdalena, forse di un guerrigliero.

 

Una scultura di San Agustin.

 

Come dicevo, spesso si trovavano a guardia delle tombe, coperte di terra con esse.

 

E spesso hanno tratti umani e animali assieme.

 

“e in verità, nella maggior parte delle Indie, si ha più cura di fare e decorare la tomba dove metteranno poi i morti che non adornare la casa in cui devono vivere da vivi.” – da “La cronaca del Perù” del 1550. Scritta all’entrata del museo del parco archeologico di San Agustin.

 

Dalle immagini sulle sculture si è potuto risalire ad alcune loro caratteristiche: abiti che indossavano, ornamenti, armi e alcuni cibi, ma per il resto ci sono solo supposizioni.

 

Rispondo ai commenti.

Ciao Piergiorgio 2 – la vendetta. Sì e all’amico di Mompos facciamo fare la parte del sicario (se non lo è per davvero). Io invece pensavo a questo punto di creare il cartello di Dekaro, tanto gli agganci ci sono! (Scherzi a parte, quando gli ho chiesto se aveva avuto contatti con la mafia italiana ha fatto un eeeeehhhh manco gli avessi chiesto se c’è acqua nel mare! Poi ha aggiunto è ovvio, figurati, è in assoluto una delle mafie più grandi.
Inoltre, mi ha fatto vedere una statuina che ha proprio all’entrata della casa, una sorta di madonnina vestita con abiti settecenteschi e con un vaso di fiori in mano, dicendomi che è la stessa che usano i mafiosi italiani per protezione).

Ciao zia Marina. La domenica delle palme mi ha colto di sorpresa, non sapevo che era quasi pasqua, ma dopo è stato impossibile dimenticarsene perché per tutta la settimana seguente ho beccato continuamente processioni, prima a Mompos e poi a Salento.

Il premio miglior commento va a… Piergiorgio 2 – la vendetta che con questo secondo titolo si porta anche lui all’inseguimento di Lala, la desaparacida.

E però anche voi altri, mettete qualche commento, non siate timidi. Timidezza is not good.

Mompos, Medellin e Pablo Escobar

Carissimi amici, gioite: ecco infatti una nuova puntata di Dekaro Diario! Stavolta vi parlerò di Mompos, Medellin e di Pablo Escobar, uno dei più famosi trafficanti di droga di tutti i tempi, capo del cartello di Medellin. Ho anche conosciuto personalmente suo nipote, Nicolas.

Più o meno a metà strada fra Cartagena e Medellin, c’è Mompos, una città che, un po’ come Villa de Leyva, sembra essersi fermata nel tempo. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che è rimasta sempre un po’ isolata. E’ infatti difficile da raggiungere e a un certo punto bisogna fare anche un tratto di strada via fiume con delle veloci lance colorate.

 

E’ la città in cui è ambientata “Cronaca di una morte annunciata” di Marquez.

 

Una piazza all’imbrunire.

 

Si vendono pulcini colorati.

 

Processione della domenica delle palme.

 

Signora con asinello.

 

Una notte, nei baretti intorno una piazza, ho conosciuto Javier, a sinistra, con cui ho bevuto qualche birra. In seguito ho conosciuto quel signore a destra, che però era un po’ strano.

 

Anzi, decisamente strano.

 

Però in fondo simpatico, qui accenna addirittura a un sorriso!

 

La lancia che si prende per il tratto di fiume da Magangué a Bodega.

 

Ragazzi a Magangué.

 

Medellin si trova in una valle circondata da colline strapiene di case ammassate. Arrivando di notte ci si sente come avvolti da centinaia di migliaia di lucette.
Da una fermata della metro si può prendere una cabinovia che sale su una di queste colline.

 

Dentro la cabinovia, che passa poco sopra uno dei tanti quartieri popolari.

 

Questi quartieri sono formati quasi interamente da case in mattoni nudi.

 

Manifesti fra le case.

 

All’interno delle stradine.

 

Piazzetta.

 

Murales.

 

Campo di calcetto.

 


Sempre a Medellin, con mio grande stupore, ho saputo dell’esistenza del “Pablo Escobar tour”, un giro turistico dove si visitano i luoghi legati alla storia di Escobar, fino alla sua casa, dove ci si incontra con suo fratello o suo nipote.
Potrebbe essere un’idea per ravvivare il turismo italiano: il Totò Riina tour, con visita ai luoghi dove si nascondeva, il posto dove è stato arrestato, dialogo coi parenti, magari pure una visitina in carcere, sarebbe contento!
Ma in effetti ciò che mi ha stupito di questo tour è proprio questo parallelo con Riina, tantopiù che il suo arresto è persino precedente alla morte di Escobar.
Comunque sia, abbiamo visitato vari luoghi, fra cui la sua tomba.

Vi faccio una velocissima sintesi della sua tragica vita perché, oltre che affascinante, è parte integrante della storia colombiana.
Piccolo spacciatore in Sud America, iniziò per primo a esportare cocaina negli USA negli anni ’70 quando questa, benché già classificata come illegale, era in pratica ignorata dalla polizia e dalla security degli aeroporti.
Diviene in pochi anni il 7 uomo più ricco del mondo, donando nel frattempo una buona fetta dei suoi guadagni alla popolazione povera, soprattutto di Medellin, costruendo ospedali, scuole e addirittura interi quartieri dove vanno a vivere famiglie senza casa.
Per questo diviene amatissimo dai ceti più poveri, ovvero la stragrande maggioranza dei colombiani, e decide di entrare in politica, anche per ottenere l’immunità parlamentare (mi ricorda qualcuno).
Viene eletto nel congresso (il parlamento colombiano) ma espulso poco dopo su pressione del ministro della giustizia e a questo punto la guerra fra lui e lo stato si inasprisce. Uccide il ministro della giustizia e mette una taglia di 1000 dollari per ogni poliziotto ucciso. La polizia ovviamente se ne vede bene dal girare per Medellin che diventa la città più pericolosa del mondo, tantopiù che nel frattempo inizia anche la guerra col cartello di Cali. I morti, fra cui moltissime vittime innocenti, non si contano.
Sempre più alle strette, Escobar decide di farsi arrestare ma a condizione che venga cambiata la costituzione in modo da impedire l’estradizione per i colombiani, perché non vuole finire negli USA. Quando ottiene ciò si rinchiude in un carcere costruito da lui stesso: la Catedral, uno dei luoghi più lussuosi della Terra.
Quando però il governo, forse su pressione degli USA, decide di trasferirlo in un altro carcere, Escobar scappa.
Il 2 dicembre 1993, il giorno dopo il suo quarantaquattresimo compleanno, viene individuato e ucciso sul tetto di un palazzo di Medellin.

 

Il quartier generale del cartello di Medellin. Dopo essere stato confiscato, fu fatto esplodere dal cartello di Cali (chiamati “Los Pepes” – questo farà ridere i miei concittadini beneventani).

 

Manifesto di quando era ricercato col fratello Roberto. Qui siamo all’interno della casa dove viveva all’inizio degli anni ’80, prima di trasferirsi in una tenuta di campagna a circa 4 ore da Medellin (chiamata “Napoles” – questo invece farà ridere tutti gli italiani).
La casa è oggi una sorta di museo e ci vivono Roberto e il figlio Nicolas, nipote di Pablo.

 

Io con Nicolas, il nipote di Pablo Escobar.

 

Se il tour in sé non è stato nulla d’eccezionale, straordinariamente interessante è stata invece la conoscenza di Nicolas, persona molto intelligente, con cui abbiamo potuto discutere a lungo.
Ha detto che il 90% delle cose che si dicono su Pablo Escobar sono false.
Sulla morte di suo zio nessuno conosce la verità a parte lui, suo padre e una terza persona. Non appena questa terza persona morirà (e Nicolas ha detto di augurarselo al più presto) la racconterà. Si è scusato di non poter dire altro al riguardo ma per il resto ha risposto ampiamente a tutte le domande, sempre con grande sincerità e dignità, usando il “noi” anche per le azioni più cruente del cartello di Medellin, come ad esempio l’omicidio del ministro della giustizia.
Ha fatto notare che la guerra scatenata dai politici contro suo zio non ha mai avuto nulla a che fare con questioni morali, tantopiù che nessun politico colombiano ha mai ragionato in quei termini. Il problema era politico, Escobar è stata la prima persona venuta da una famiglia povera a contrastare il potere gestito da sempre da una casta di cinque famiglie colombiane. Inoltre, invece di promettere soltanto come fanno tutti i politici, faceva davvero molto per la gente, e questo in effetti è un dato di fatto.
Sugli Stati Uniti ha detto che il vero problema per loro non è tanto la dannosità della cocaina, ma il flusso di denaro che finisce da lì in Colombia e che deve essere fermato. Mi ha fatto venire in mente Chomsky che ha notato che ogni anno muoiono molti più colombiani per colpa del tabacco statunitense che americani per colpa della cocaina colombiana.

Guardando indietro al suo passato prova ancora un grandissimo affetto per suo zio, persona straordinariamente intelligente e sempre pronta ad aiutare i poveri, ma si rende conto che nonostante tutti i soldi che aveva non era una bella vita. Non poteva quasi mai muoversi e quando lo faceva doveva girare scortato e armato fino ai denti. Ora si ritrova con 75% della sua famiglia e 99% dei suoi amici uccisi. Anche i 3 anni in un hotel in Svizzera da 55.000 dollari al giorno all’inizio degli anni ’80, li vede ora più come una follia insensata che come qualcosa di piacevole.

Ha raccontato tanti bellissimi aneddoti di vita con suo zio:
Pablo che decide di imparare il francese perché preferisce conoscere la lingua delle persone con cui fa affari e dopo solo 3 mesi, quando lo rincontra, si diverte a parlargli fluentemente in quella lingua mentre lui, da anni in Svizzera coi migliori professori, ancora non riesce a farlo!
Il lusso surreale della Catedral, la prigione che Pablo si era auto-costruita, dove quasi ogni sera c’erano party e a volte addirittura partite di calcio con intere squadre fatte venire all’interno.
La continua escalation di modi e mezzi per far entrare la droga negli USA: all’inizio con piccoli aerei, poi con navi, mentre oggi il cartello di Cali usa soprattutto sommergibili.
I tantissimi insospettabili aeroporti internazionali che li facevano passare senza controlli in cambio del 25% del valore della droga che portavano… ecc… ecc…
E’ stato arrestato solo una volta con un suo amico, subito fatto a pezzi con una motosega dalla polizia colombiana davanti ai suoi occhi. Per sua fortuna zio Pablo, venuto a sapere nel frattempo dell’arresto, chiamò personalmente il presidente della Colombia dicendogli che questa era una guerra fra loro e se cominciava a mettere in mezzo i familiari avrebbe iniziato immediatamente ad ammazzare i figli e i nipoti di tutti i più alti militari e politici. 25 minuti dopo la telefonata Nicolas era di nuovo libero.
Dopo la morte di Pablo, la famiglia ha deciso di smettere. Ora il traffico di droga è gestito soprattutto dal cartello di Cali, loro eterno rivale.

Un’ultima curiosità. La guerra fra il Cartello di Medellin e quello di Cali si spostò anche sui campi di calcio, con l’Independiente di Medellin contro l’America di Cali. E quando il Cali pareggiò una partita grazie ad un arbitraggio alquanto sospetto, Escobar fece uccidere l’arbitro! Eh, quando ci vuole, ci vuole…

Rispondo ai commenti.

Ciao PJ (Piergiorgio 1 – il vecchio?). Sì, ci mancava solo quello dopo quasi 10 ore di trekking!!

Ciao zia Marina, più che altro è astuta la sua fidanzata. “Astuta come un cervo!” (cit).

Ciao Fabrizio! Sì, ma la verità è che come natura crea, il lavoro distrugge! Per fortuna mi basta qualche mese per ritornare a splendere! :-)

Il premio miglior commento va a… Fabrizio!

E un grandissimo abbraccio ai tanti nuovi amici della pagina facebook di Dekaro Diario!